giovedì 15 agosto 2013

Adiós, hermano



Renato, il Selvatico, è stato un lettore attentissimo, sempre capace di cogliere le sfumature tra le righe. Ed è stato, soprattutto, un uomo sensibile, sempre capace di emozionarsi, commuoversi e indignarsi per piante, animali, altri esseri umani. Sensibilità la sua non solo umana ma anche politica: la dimensione collettiva è sempre stata una preoccupazione presente nei suoi scritti e nei suoi post, sia pur declinata secondo modalità probabilmente considerate poco ortodosse dai più.

Costruire una cultura condivisa e dare vita a luoghi comuni/canti, lontani dalle forme politiche e impermeabili alla de/codificazione del potere, scriveva in uno dei tanti commenti lasciati su questo blog, parecchi anni fa.

Certo si possono prendere contromisure efficaci: variare e incrementare la biodiversità delle coltivazioni, costruire depositi di raccolta per l’acqua piovana, vasche di depurazione e riciclo delle acque di scarico, si possono cintare gli orti come basi dei marines in territorio talebano... tante cose. Ma quella fondamentale è la costruzione di reti solidali di scambio e mutuo aiuto nel proprio territorio, nella propria bioregione, ha lasciato scritto nel suo penultimo post.

Una bella poesia di Gary Snyder, che piaceva molto ad entrambi: per te Renato, ovunque tu sia.
 
Nel prossimo secolo,
o in quello successivo,
dicono,
ci saranno valli, pascoli
in cui ci incontreremo, se ce la facciamo.
Per scalare queste cime,
una parola per te,
per te
e per i tuoi figli:
state assieme,
imparate dai fiori,
siate lievi.

(Gary Snyder,
For the children)

domenica 2 giugno 2013

Non lo stesso parco, ma la stessa storia


 
Il noce
  La mia testa è una nuvola schiumosa,
il mare è nel mio petto.
Io sono un noce nel parco Ghiulkhan,
cresciuto, vecchio, ramoso - guarda!
ma né la polizia né tu lo sapete.

Io sono un noce nel parco Ghiulkhan.
E le foglie, come pesciolini, vibrano dall'alba alla sera,
frusciano come un fazzoletto di seta; prendi,
strappale, o mia cara, e asciuga le tue lacrime.
Le mie foglie sono le mie mani, centomila mani verdi,
centomila mani io tendo, e ti tocco, Istanbul.
Le mie foglie sono i miei occhi, e io guardo intorno,
con centomila occhi ti guardo, Istanbul.
Le mie foglie battono, come centomila cuori.

Io sono un noce nel parco Ghiulkhan,
ma né la polizia né tu lo sapete.
 (Nazim Hikmet, 1957. Traduzione di Joyce Lussu). #occupygezi